un labirinto verso il mistero


La seconda conclusione è l’importanza di addentrarsi nel mistero di Dio passando per il mistero di sé, disegnando intanto il proprio labirinto. Senza la conoscenza di sé, è praticamente impossibile conoscere Dio. Quando ci si apre al mistero divino, non si può eludere il compito di conoscere se stessi. L’ignoranza di sé conduce all’auto-inganno. Prima di accedere alla parte centrale del tempio, occorre percorrere il labirinto. Prima di dirigere lo sguardo alle volte e agli archi, bisogna volgere lo sguardo al suolo, alla terra (humus). La prima attitudine di fronte al mistero è l’umiltà. Dante Alighieri descrive in questo modo la purificazione della persona superba. Essa porta un peso così grande che deve piegarsi e guardare il suolo, nel quale troverà incisi esempi storici e mitologici sulla virtù dell’umiltà. Per arrivare in alto, occorre guardare in basso. Per leggere il linguaggio delle stelle, bisogna prima contemplare il loro riflesso nelle pozzanghere. I misteri più sublimi sono disegnati nella polvere del proprio cammino. Questa conoscenza personale è legata al mistero che trascende l’essere umano. Santa Teresa di Gesù scrisse: «Ma credo che non arriveremo mai a conoscerci, se insieme non procureremo di conoscere Dio» (Il castello interiore 1; 2, 9). Il lavoro non si riduce a un esercizio di psicologia, ma tesse dall’inizio una trama intrecciata con la spiritualità. Partecipando a un gruppo di dialogo monastico interreligioso, un amico sufi disse, durante una delle nostre riunioni: «Chi conosce se stesso, conosce il suo Signore».