Si tratta di una forma di agire che santifica, che rende sacre le cose. Una condotta mossa da uno sguardo aperto al mondo divino. Se una persona attua con una prospettiva trascendente, come un omaggio a Dio, converte le sue opere in qualcosa di sacro. Non serve che siano opere sublimi. Basta aprire una fessura di eternità nelle cose più semplici. Secondo, il sacrificio si unisce, in questo caso, al dolore, alla perdita, alla privazione… giustificati da alcuni motivi, ma dove la carenza acquista protagonismo. Sacrificare presuppone perdere qualcosa che per la persona ha grande interesse. A un maggior desiderio corrisponde un maggiore sacrificio. I dilemmi esistenziali che appaiono, spesso, nella vita delle persone hanno un prezzo. Scegliere un cammino significa sacrificarne un altro, per il quale abbiamo comunque un importante attaccamento. Immolare il proprio ego sull’altare dell’essere, è uno dei migliori sacrifici che si possano realizzare. Terzo, in un dizionario appare questa accezione: “Atto di abnegazione ispirato dalla veemenza d’amore”. Qui entriamo nella realtà dell’abnegazione, che invita a dire “sì” a qualcuno e, nello stesso tempo, “no” a se stessi. Questa abnegazione può essere dovuta a diversi motivi ma, in questo caso, si ispira alla “veemenza dell’amore”. La rinuncia si realizza come istanza d’amore, nutrimento indispensabile per entrare nell’ambito del divino.
UNA VISIONE POLIEDRICA DEL SACRIFICIO
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- Scritto da LLUÍS SERRA LLANSANA
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