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Ognuno di noi ha un lasciapassare per la notte, che sia un libro caro, una bevanda particolare, un saluto, una carezza, una preghiera, un gesto che segni il rito di uscita dal giorno. Così invitato, spesso il sogno arriva. Ricordo un incontro con un’esperienza che mutò radicalmente la mia attenzione. Avevo cominciato a lavorare da qualche anno; venne da me una giovanissima donna in grave difficoltà. Dopo qualche tempo la scena di un film riportò alla memoria un trauma, sepolto nelle cantine della sua memoria di bambina: aveva assistito alla morte di una parente di età avanzata, provocata da una persona a lei prossima. Da piccola, non era riuscita a soccorrerla né a dirsi quanto accadeva. L’orrore di questo ricordo, l’impossibilità di situarlo nella vita presente, la spinse sempre più verso l’assenza e il disordine. Io rimasi con lei ammutolita, chiedendomi quale gesto potesse riparare quella ferita, quel delitto insanato. Scelsi la via del silenzio, forse la più difficile, perché non allevia con l’azione l’insostenibilità della tragedia. Dopo un mese fece un sogno. La giovane entra in una chiesa: arrivata all’altare scioglie i lunghi capelli per lavare i piedi a una donna anziana. Li bagna di lacrime e di acqua, li accarezza, li asciuga con la sua chioma, li sente antichi, nodosi, induriti, sono i piedi nudi di chi ha camminato per tantissimo tempo senza riposo. Poi la sognatrice solleva lo sguardo, e riconosce il volto dell’anziana parente uccisa, che la guarda con amore. E la perdona.