La carriola


Tragedia, lui la chiama, vivendo il dramma di chi realizza di essere in una gabbia che, peraltro, si è sapientemente costruito con le sue stesse mani. Di fronte a questo tipo di esperienze, siamo davanti a un bivio. Possiamo decidere di continuare a vivere la nostra vita con la morte nell’anima, oppure accogliere questo dolore come una preziosa opportunità di cambiamento, un’occasione per ridefinire le priorità e gli obiettivi della nostra esistenza.  
Rendersi conto, ad esempio, di un’attività lavorativa che già non ci si addice più, o prendere consapevolezza di relazioni che non ci stanno arricchendo, può creare un forte disorientamento ma, con il tempo, può rivelarsi come necessario per riavvicinarsi al proprio vero Sé.
L’escamotage che trova il nostro protagonista, così come le fughe o distrazioni che anche noi inventiamo, portano solo un effimero senso di sollievo rispetto al carico che schiaccia la nostra esistenza. Risulta decisamente più faticoso, ma più fruttuoso, riuscire a intraprendere un cammino che con pazienza, delicatezza e gradualità ci porti a guardare più spesso dentro di noi, a incontrare le nostre emozioni e le nostre parti più vere.
Compassione e comprensione sono dovute alla fragilità del nostro protagonista che, almeno per il momento, riversa il suo malessere su una povera vittima. Osservando però lo sguardo atterrito di lei, ci lascia intravedere una fine sensibilità e, chissà, la possibilità, un giorno, di abbandonare il gioco sadico e guardarsi allo specchio con autentica sincerità.