Salutai personalmente P. Adolfo Nicolás poco dopo il suo ritiro dalla carica di rettore generalizio dei gesuiti. Una persona di grande chiaroveggenza. Nell’ultimo periodo concesse un’intervista ad Antonio Spadaro, gesuita direttore de La Civiltà Cattolica (Roma). In una domanda si affrontò il tema, lo stesso presente nel magnifico film Silenzio di Martin Scorzese, sul motivo per cui sono pochissimi i giapponesi che si convertono cristiani. La sua risposta fu: «Un vescovo giapponese era solito dire, Gesù disse: “io sono il cammino, la verità e la vita”. La maggior parte delle religioni asiatiche sono religioni o spiritualità del cammino: scintoismo, confucianesimo, buddismo, kendo, aikido, ecc. E, senza dubbio, la maggior parte dei missionari occidentali sono venuti per predicare e parlare della verità. In realtà, non c’è stato un vero incontro con il Giappone». Quanto più viaggio per il mondo, tanto più penso che quel vescovo aveva ragione: l’Asia è il cammino. L’Europa e gli Stati Uniti si preoccupano per la verità, l’Africa e l’America Latina sono la vita, e mantengono vivi i valori che in altre parti del mondo abbiamo dimenticato (l’amicizia, la famiglia, i figli, ecc.). Il cammino, la verità e la vita, tenuti separati, hanno dei rischi evidenti. Queste tre realtà, ben integrate, conducono all’armonia e alla pienezza.

Le spiritualità del cammino non avvalorano tanto la meta quanto l’itinerario per giungere ad essa. Il processo, a volte, è così lungo che si impiegano molte vite per arrivare alla meta. La crescita è graduale e le consapevolezze si realizzano lentamente. Si cammina verso la trasformazione di sé. Non mancano dubbi e inciampi, ma si convive con essi. Questo lavoro può coesistere con alcuni compromessi con la verità e con la relativizzazione degli errori. Quando si accettano con sincerità, gli errori fanno parte del processo. La ricerca dell’illuminazione può disconnettersi dalla vita e divenire uno stato astratto. Il cammino consiste nell’umile riconoscimento delle limitazioni umane e del ruolo dell’apprendimento nello sviluppo personale.

Le spiritualità della verità accentuano la dimensione dogmatica, la valorizzazione accademica, la nuda oggettività. I pensieri e le credenze personali devono assoggettarsi alla comprensione univoca della verità. La fede, in questo caso, implica un assenso, l’essere d’accordo e basta. I dubbi rappresentano una minaccia e vanno contrastati. La scoperta della verità, se si tralascia la dimensione del cammino, è istantanea. Non c’è un processo. Entrano in gioco le ideologie, che vengono imposte alle persone, le quali si allontanano dalla vita. La verità scongiura l’autoinganno, però giungere ad essa richiede un percorso, a volte lungo, che dinamizza la vita.

Le spiritualità della vita rappresentano un canto all’esistenza. La verità, come ultima referenza, oppure il cammino, come processo, interessano molto meno rispetto al battito del cuore. Si tratta di vivere, si sentirsi vivi, di lottare per la vita, di celebrarla e onorarla. Le relazioni umane giocano un ruolo indiscutibile. Creare collegamenti e tessere complicità. Non le sono estranei la frustrazione e la sofferenza. Risulta impossibile evitare ferite o non ferire le altrui suscettibilità. Anche la grandezza del cuore ha le sue difficoltà. Vivere ha un senso profondo e necessita incontrarlo. Forse non sempre c’è bisogno di definire o conoscere i sentieri per i quali procede. La verità di cui non si fa esperienza, è pura entelechia. 

Cammino, verità e vita hanno profonde radici antropologiche. Dimenticarsi di essi conduce a vivere spiritualità disincarnate. Non è strano che molte persone scoprano la verità della loro vita quando realizzano, ad esempio, il cammino di Santiago. Tutto è collegato. L’integrazione di questi tre valori è possibile quando dialogano insieme la psicologia e la spiritualità. Passo dopo passo. I mistici compresero che la vita è una salita, che il cammino ha le sue tappe e che la verità è al di là delle idee. Tutto è relazionato, senza compartimenti stagno.