Ho conosciuto persone apparentemente cultrici di assoluta autonomia ma nell’anima dipendenti fino all’annientamento, e viceversa. L’amore induce un senso di eternità (perché in sé è eterno, ma forse non ‘quel’ rapporto) e nello stesso tempo di precarietà; si guarda alla persona prescelta sia come la più vicina al cuore che come radicalmente altra e straniera. 
La scelta di unirsi in matrimonio, di fondare una coppia e poi una famiglia, è d’altra parte l’esperimento alchemico più importante e trasformativo della vita: si chiude in un contenitore sigillato il rapporto con la propria anima e con il Tu, reggendo le tensioni tra opposti che inevitabilmente si generano, cercando di comporle armoniosamente in quello che Jung chiama il “mistero della congiunzione”. Scommessa impegnativa ed entusiasmante: tende all’armonia, alla complementarità, all’abbraccio delle nostre parti separate, disgiunte, conflittuali, perché non siano più sole e possano generare un terzo che tutte le comprenda, il figlio. Certo richiede un buon artigianato nella vita quotidiana e una grande arte del cuore, che sa tenere insieme e non disgiungere. Mi rendo conto che le mie parole sono ‘anziane’, derivate dall’esperienza della vita, delle vicende sentimentali spesso travagliate che hanno segnato il mio percorso e quello delle molte persone che ho avuto il privilegio di accompagnare.