il corpo come oggetto identitario
Gentile dott.ssa Finetti, malgrado le lotte femministe, vedo che il fenomeno della mercificazione del corpo femminile non accenna ad arrestarsi, anzi. Il mercato crea una “cultura”, se così si può chiamare, di status estetici alle quali le donne cercano di aderire, non soltanto per sentirsi ammirate e oggetto del desiderio, per attrarre sessualmente e sentirsi valorizzate, ma anche come metro di paragone con altre donne. La cosa più triste è che noi stesse finiamo per identificarci in gran parte con il nostro corpo, facendone la misura del nostro valore. Cosa ne pensa?
Gent. le Lettrice, la sua domanda mi fa tornare in mente un sogno che feci molti anni fa: dopo una serie di vicissitudini vissute in un paese antico, mi ritrovo in una piazzetta dove vedo i sandali laceri e sporchi di sangue di Gesù, che da poche ore era stato crocifisso, mentre provo una grande compassione, ascolto una voce che mi parla della “negatività dello specchio per l’evoluzione degli esseri umani”.
A quell’epoca questo messaggio mi rimase un po’ oscuro, anche se cercai di confrontarmi con esso come responsabile di qualcosa che certamente riguardava anche me. Pian piano negli anni compresi quando la preoccupazione per lo sguardo esterno, la ricerca dell’approvazione altrui, l’adeguarsi alle aspettative degli altri per sentirmi amata e valorizzata, erano delle gabbie che mi impedivano di coltivare ed esprimere la vera me stessa. Ricordo che decisi, in partenza per un seminario che mi avrebbe portato a vivere alcuni giorni in contatto con molte persone, di lasciare la borsetta del maquillage a casa. L’impatto fu forte, mi sentivo nuda, il rossore delle mie guance, non camuffato dal maquillage, in modo simbolico esponeva al mondo qualcosa che tentavo di tenere nascosto: le mie emozioni e il mio sentimento di inadeguatezza. Con il tempo anche il mio abbigliamento iniziò a cambiare, optando sempre più per indumenti e scarpe sempre più comodi. Una ritrovata libertà. Quella di poter uscire in qualsiasi momento senza dover sprecare venti minuti davanti allo specchio a mascherare il mio viso. Quella di prendere qualcosa al volo dall’armadio senza preoccuparmi dell’immagine che avrei potuto dare. Certamente permangono persone che giudicano in base all’abbigliamento, al trucco o alle unghie laccate, ma già questa diventa una faccenda con la quale è semmai l’altro a doversi confrontare. Mi resi anche piacevolmente conto che, con molte altre persone, la relazione non cambiava affatto.