Un nome vero per ogni cosa
Gentile dott.ssa Finetti,
pensando al “riscatto” femminile, cioè all’agire di una serie di funzioni che fino ad oggi sono state, forse culturalmente, appannaggio degli uomini, sento come una perdita d’identità, nel senso che una serie di atteggiamenti legati al servizio, all’accoglienza, alla gentilezza, alla pazienza, che per me sono anche valori, sembrano doversi rinnegare a favore di azioni più contundenti, penetrative e battagliere, per non essere “sopraffatte” e “utilizzate” in un mondo ancora troppo ritagliato su misura per gli uomini. Cosa ne pensa?
Gent.ma Lettrice,
forse non si tratta di rinunciare ai valori di cui parla, che dovrebbero essere peraltro valori universali e non appannaggio esclusivo del femminile. Quando si parla di valori, dobbiamo fare una differenza. Ci sono i valori sociali che spesso riceviamo dall’ambiente e applichiamo ai nostri comportamenti per essere riconosciute come persone “etiche” o rientrare in una categoria culturalmente accettata, anche semplicemente fosse il “genere femminile”. Ci sono invece valori che risultano da una genesi tutta interiore e diventano l’espressione genuina e coerente di ciò che siamo intimamente. La genesi dei valori interni deriva da un sentimento profondo: il germoglio del valore, ad esempio la gentilezza, viene coltivato parallelamente alla crescita e all’apertura del cuore. Crescendo il sentimento d’amore per se stessi, insieme al rispetto ed eguaglianza per tutte le forme di vita; sentendo l’interdipendenza che esiste tra gli esseri umani e tra di essi e la natura, una serie di atteggiamenti diventano l’espressione di una maturità spirituale. Da questo sentire maturo e continuativo, nutrito nel tempo, si sviluppano spontaneamente gli atteggiamenti di accoglienza, gentilezza e pazienza nei confronti sia di se stessi che degli altri. In questo caso, il percorso è appannaggio sia degli uomini che delle donne.