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Lo scenario che si delinea nei Vangeli gnostici, nella Pistis Sophia e nella cosmologia della scuola valentiniana descrive un universo generatosi da un Dio unico, ineffabile, al di là di ogni forma. Esso diffonde per emanazione la sua luce-energia a tutto il cosmo, perdendo gradualmente la sua luminosità e la sua purezza, man mano che ci si allontana dal suo centro, fino ai confini delle tenebre nelle quali finisce per confondersi.
Secondo gli gnostici il mondo della materia nel quale ci troviamo, dominato da ignoranza e dimenticanza, è quindi frutto di una degradazione progressiva che dal mondo divino della luce ha portato attraverso vari stadi a una materia via via più grossolana. Idea espressa in altri termini anche da Gurdjieff nei suoi insegnamenti sul Raggio di Creazione. Gli gnostici, quindi, non credevano a un dio del male contrapposto al Dio unico, ma ritenevano che in questo processo di allontanamento dal divino un elemento cruciale fosse la figura del Demiurgo, figlio di Sophia e creatore del mondo materiale (ne ho già parlato in questa rubrica, vedi n. 14). Su questo punto nacque il malinteso per cui si attribuì agli gnostici una visione dualistica in quanto definivano “male” il mondo della materia, ma se sostituiamo alla parola “male” il termine “illusione”, come negli insegnamenti indù e buddisti, la visione gnostica ci risulterà più chiara. Il male, l’ignoranza, non è un principio a sé stante ma viene inteso come lontananza dal divino.