Elementi di percezione della crisi climatica
Accanto alla ricerca ormai decennale nell’ambito di discipline tecnico-scientifiche, le cosiddette scienze “hard” (matematica, fisica, biologia, geologia, chimica), i cambiamenti climatici recentemente sono sempre più oggetto di studio anche delle scienze “soft”, come la sociologia, la psicologia, le scienze delle comunicazioni. Dopo avere esplorato inizialmente alcuni aspetti scientifici del sistema climatico terrestre e dei cambiamenti che sta sperimentando, e averne illustrato le cause e descritto gli effetti, proviamo allora anche noi a esplorare un tema che si sovrappone a quelli solitamente trattati in questa rivista: come viene percepita la crisi climatica? Quali processi psicologici coinvolge? 
Per prima cosa, riprendiamo due termini che abbiamo visto tempo fa: il tempo (atmosferico) e il clima. Entrambi hanno a che fare con la descrizione dello stato dell’atmosfera, sebbene il secondo faccia riferimento a un periodo molto più lungo, diversi decenni. La nostra percezione interviene anche quando sperimentiamo le condizioni atmosferiche e le sue variazioni su piccole scale temporali. Ma se estendiamo la scala, per esempio nel passato, la nostra percezione, dettata dalla memoria e influenzata dal sentito comune, diventa meno oggettiva, e potenzialmente in grado di distorcere la realtà. A volte, quando si parla di fenomeni atmosferici, vi è poi la tendenza alla normalizzazione degli eventi, “mitizzando” il passato, forse un meccanismo per difendersi dalla preoccupazione: «Io mi ricordo che quando ero giovane pioveva anche più forte», oppure «mio nonno mi ha detto che anche nel 1939 ci fu un’alluvione così». La distorsione cognitiva sul clima assume dimensioni ancora maggiori quando attraversa più generazioni, poiché sono coinvolti i sensi e la memoria di più persone. La percezione del clima del passato risente pertanto di diversi processi emotivi che ne limitano l’obiettività. Se vogliamo davvero capire cosa sta succedendo al nostro pianeta, dobbiamo necessariamente affidarci ai metodi obiettivi che attengono alle scienze “hard”, poiché nella valutazione quantitativa non possiamo permetterci di non essere rigorosi.