Questo articolo è una storia di terrore, scritta in memoria di H.P. Lovecraft. Un invito a una riflessione simbolica.
Come accade a tutti, non ricordo come sia iniziata la mia storia.
Ho come la sensazione di essermi sempre trovato qui, in questo castello freddo, dove giammai sorge il sole. Non conosco il mio nome, ma nemmeno me ne serve uno, perché qui non abita nessun altro se non io.
Ogni tanto, soprattutto di notte, mi piace correre nelle stanze fredde di questo immenso palazzo. Il castello è composto da cinque torri tutte circondate da un folto muro di cinta.
Mi piace arrampicarmi sino alla torre più alta e guardare i confini di queste terre senza luce.
Poche cose posso raccontare, ma in una delle mie scorribande notturne accadde qualcosa che non dimenticherò.
Ero preso da uno strano appetito, e quella notte mi arrampicai con tutte le mie forze sulla vetta più alta della torre più lontana, al fine di deliziarmi della sconfinata vista. Il silenzio oscuro fu rotto soltanto da un branco di lupi che ululavano in lontananza.
A un tratto, però, un bagliore arancione mi fece cadere nel più profondo terrore. Un movimento luminoso nella selva sembrava indicare l’avvicinarsi di qualcuno. Un brivido gelido mi attraversò. Scesi in tutta fretta, e persi l'equilibrio cadendo a peso morto su una delle piattaforme, ma il dolore che provai non vinse la paura.
Correvo disperato senza sapere dove andare. Il castello era grandissimo e difficilmente degli sconosciuti sarebbero riusciti a scovarmi. Mentre correvo senza direzione, mi ricordai della cosa più importante. Giunsi sino all'entrata principale per poi precipitarmi verso gli scaloni di pietra della torre sinistra. Non ho mai avuto bisogno di luce per muovermi. L'oscurità è la mia luce.