Valentino il maestro dimenticato
Il racconto qui esposto è il risultato di una commistione fra personaggi storici, fatti realmente accaduti e passaggi narrativi frutto dell’immaginazione dell’autore. Un testo ricolmo di Gnosi.

Fu una notte burrascosa, ma già alle prime ore dell’alba si poteva percepire quel delizioso silenzio che precede il mormorio degli uomini al lavoro. Proprio quando il sole stava iniziando a baciare i tetti di paglia dell’antica Cartagine e quel silenzio sembrava penetrare le pietre e gli alberi, una madre lanciò un grido assordante. E poi ancora un altro, e un altro ancora. Si spense solo quando il vagito della nuova creatura che portava in grembo si fece spazio, salutando il mondo al suo nascere.
Erano passati, ormai, più di ottant’anni dalla morte di Gesù e tutti pensavano che la donna, da buona e fervente cristiana qual era, avrebbe dato al neonato lo stesso nome del maestro. «Come si chiamerà?», sussurrò la vegliarda ostetrica mentre appoggiava il tenero corpicino sul seno della madre. «Valentino», respirò la donna poco prima di cedere, esausta, alla indomita presa di Morfeo.
In un mondo dove la metà degli infanti veniva ucciso da banali infezioni, con quel nome desiderava per lui l’unica cosa che gli sarebbe servita: salute, vigore e valentia.
Passarono poco più di vent’anni da quella mattina burrascosa e silenziosa, quando il giovane si recò ad Alessandria d’Egitto con l’obiettivo di entrare in una scuola misterica cristiana guidata da un certo Teuda, il quale affermava di essere diretto discepolo di Paolo di Tarso e di aver appreso da lui insegnamenti segreti che Gesù tramandò solo ad alcuni dei suoi allievi. Nella stessa città in cui, qualche decennio dopo, Ipazia avrebbe insegnato la filosofa, Valentino giornalmente frequentava la maestosa biblioteca della città con l’obiettivo di approfondire quanto insegnato dal Maestro Teuda, i cui insegnamenti stimolavano la sua giovane mente tumultuosa. Un giorno, tormentato da alcune questioni filosofiche, si rivolse al suo maestro con il cuore contrito, addolorato del fatto che il dubbio ancora albergasse nel suo cuore.

 

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