L’omologazione dei giovanissimi è da tempo un problema sociale e non solo. Pandemia e lockdown lo hanno peggiorato? Il percorso tra un giovane e un’anziana tutor veleggia tra lo Squid Game e l’unicità dell’essere.
Bruno, ventunenne campano, studente del secondo anno di Scienze Sociali alla Cattolica è un giovane posato, educato e molto serio nel suo studio. È venuto dal meridione a Milano per frequentare l’Università: causa covid, dopo un anno di DAD svolta a casa, è tornato e incontra qualche problema nello studio. Si rivolge a una tutor per aiuto: lei gli anticipa la loro differenza di età ma, a sorpresa, Bruno sembra quasi sollevato a saperlo. Che stia cercando una figura di riferimento, che vada un po’ oltre il suo metodo di studio, si chiede Erica?
Lo riceve più volte nel suo studio di casa dove si respira un’atmosfera che al giovane piace palesemente molto, fin da subito. Dopo circa un mese di incontri, oggi, a sorpresa, Bruno ha però molta voglia di parlare, non di studiare e attacca subito come spinto da un’urgenza indifferibile. «Beh, ma è vero, secondo lei, Erica, che con pandemia e lockdown ci sono stati grossi cambiamenti nei comportamenti di alcune fasce di popolazione, come tra i giovanissimi?». Erica esita: «Mah – replica con un fil di voce – non solo nei comportamenti, ma anche nell’anima delle persone…».
Il giovane tace e guarda la sua tutor, sembra sorpreso da quanto ha appena detto: forse la parola “anima”, mai pronunciata prima nei precedenti incontri, è sfuggita all’anziana tutor. Lei lo fissa e tace. Lascia che lui continui: «Sto parlando dei giovanissimi: sono diventati più simili l’uno all’altro, più… omologati. Sembrano più problematici perfino di noi che siamo di poco più grandi: che c’entrino pandemia e isolamento? Un’indagine condotta dall’Istituto di ricerca IARD che ho appena studiato per un esame facoltativo, sembra indicare proprio questo. La legga».