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Siamo un’unica cosa e viviamo su un unico pianeta. Questa realtà, per certi versi evidente e banale, pare non esserlo affatto, almeno per una consistente porzione di umanità. L’uomo sta deteriorando il suo stesso habitat, oltre a quello di molte altre specie. Con la crisi climatica siamo di fronte all’esempio più lampante della capacità autodistruttiva del genere umano.
Parlare di equità significa riconoscere che abbiamo tutti gli stessi diritti. Tra questi sono compresi anche quelli ambientali, sovente ripresi anche nelle costituzioni di alcuni paesi. Non solo ogni persona ha diritto a vivere in un ambiente sano, ma l’ambiente stesso, inteso come tutti gli organismi viventi, e concetti più collettivi come la biodiversità, la natura e gli ecosistemi devono essere tutelati. Qualora tali diritti venissero violati, è necessario individuare le responsabilità, se ci sono, ed eventualmente determinare l’entità del danno, affinché un risarcimento sia dovuto a chi lo ha subito. Se nell’applicazione della legge, in uno stato di diritto, ciò è ormai assodato, molto meno in uno stato non afflitto da derive autoritarie, in campo ambientale, dove l’applicazione della giustizia è un concetto relativamente recente e il diritto ambientale è una disciplina ancora giovane. Se negli scorsi decenni esso aveva a che fare per lo più con casi isolati di inquinamento, l’acuirsi dell’emergenza climatica ha aperto nuove frontiere.
Gli abitanti degli arcipelaghi di Kiribati e di Tuvalu, nell’Oceano Pacifico, si stanno preparando ad abbandonare definitivamente le loro isole. Il livello del mare è inesorabilmente aumentato negli ultimi decenni in seguito al riscaldamento del pianeta, e le isole saranno completamente sommerse entro la fine del secolo. Le migrazioni climatiche sono già cominciate e si stanno verificando sotto i nostri occhi, coinvolgendo vittime innocenti di politiche economiche e industriali a loro del tutto estranee. A queste vanno aggiunte tutte le vittime, non solo umane, e i danni causati dagli eventi meteoclimatici estremi. Non solo le ingiustizie si manifestano in maniera molto differenziata per estrazione sociale, ma anche per genere. Le donne sono più soggette agli impatti della crisi climatica, soprattutto nelle società dove sono responsabili della raccolta del cibo e dell’acqua, dell’approvvigionamento di fonti di energia, oltre che dell’accudimento di anziani e bambini. In condizioni di povertà, la lotta per la sopravvivenza rende questi compiti anche più pericolosi.