sapere ed essere: maschile e femminile?
Spesso si interpreta il cammino spirituale come ricerca di un sapere nascosto - e in parte è così -, il problema è che poi si arriva a confondere lo strumento con l’obiettivo. Come succedeva a molti rabbini, padri della chiesa, ulama islamici, chi studia e conosce la legge sente di aver raggiunto il traguardo spirituale, soprattutto se ritiene di applicarla con se stesso e con gli altri. Ma “sapere” qualcosa non corrisponde affatto a “essere” quel qualcosa, cioè a rendere carne quella conoscenza. La legge necessita di un atteggiamento che sia riconosciuto dalla comunità, comportamenti osservabili dall’esterno e ritenuti “atti di legge”, quindi necessariamente standardizzati. Mentre, nella spiritualità si potrebbe affermare che “la legge non è uguale per tutti”, perché siamo profondamente diversi l’uno dall’altro, con storie, bisogni, limiti e peculiari direzioni di lavoro interiore. Ciò che è giusto in un dato momento per una persona, è controproducente per un’altra; qualcuno deve allenare il suo essere in una direzione, un altro deve prendere la strada inversa; l’osservanza della legge può quindi impedirmi di conoscermi realmente.
Rispetto all’inganno della superiorità del sapere, gli uomini, credendosi gli unici detentori di una mente razionale lucida e di intelletto, confondendo il significato del “logos”, hanno escluso le donne dalla vita religiosa e dallo studio delle sacre scritture, relegandole solo al ruolo di Estia, la dea del focolare domestico, della casa e della famiglia, dogma ancora in voga nella chiesa Cattolica.