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Gent.mo Prof. Serra,
vedo che in me c'è una grande lotta per contenere le emozioni. So che per un lavoro psicologico, che possa poi aprire a una sana spiritualità, l'elaborazione delle emozioni è fondamentale. Sono arrivata a 74 anni e mi rendo conto che sono diventata abilissima nel mettere a tacere le emozioni per non creare dissidi e contrarietà in chi mi è di fronte. Conosco molto bene la teoria, perché non la metto in pratica? Questo "bon ton" è un primo importante passo da fare, o nasconde la paura di creare conflitti con l'altro? Grazie per la sua risposta.
La paura di creare conflitti conduce le emozioni nelle zone sotterranee della propria interiorità. In modo graduale, si perde coscienza del loro contenuto, diventano represse e possono distorcere, senza rendersene conto, elementi importanti della personalità. Si vive così sotto la minaccia della spada di Damocle che pende da un filo che si può rompere in qualsiasi momento. La sua punta affilata incombe sopra la testa. Silenziare le emozioni non provoca la loro scomparsa e nemmeno neutralizza i loro effetti. L’affanno di evitare apparentemente il conflitto con l’altro crea un nuovo conflitto, quello con se stessi, che è più difficile da diagnosticare e da risolvere.
Il miglior modo di disattivare le emozioni è immergersi in esse. Si tratta di affrontarle e viverle, senza necessità di agirle. Lasciarsene trasportare provoca l’abbandono delle funzioni della mente e mette in moto i meccanismi di difesa comportamentali. La fuga può essere un’operazione di emergenza, ma prima o poi bisogna tornare a connettersi. Forse un nuovo approccio può neutralizzare le paure. Nel suo momento culminante, l’emozione, l’ira per esempio, annebbia la vista. Si perde l’obiettività e ci si allontana da un atteggiamento sereno. Sorge il panico di cadere nel caos, di perdere il controllo del volante e precipitare a capofitto nella catastrofe.