Cara redazione,
ho avuto l’impressione che, nella presentazione dello scorso numero della rivista, si identificasse troppo l’anima con la ferita, il pianto e la sofferenza. Tuttavia è un argomento che mi interessa, anche se non saprei pienamente descrivere il suo ruolo nella mia vita. Quindi volevo chiedervi: è necessaria la sofferenza? Senza di essa non avremmo un’anima o, per lo meno, non arriveremmo a conoscerla?
Chi di noi non si è mai posto questa domanda? Chi, durante un momento doloroso, non si è chiesto: «A cosa serve tanto dolore? Che cosa posso fare con questa sensazione nel petto che mi soffoca, che mi paralizza? Voglio che scompaia».
E forse hai ragione, invece di parlare di luce, calma e pace, a volte in queste pagine si parla di dolore, tristezza e paura, avvicinandosi a quell’oscurità che abita gli angoli più profondi del nostro cuore. Ma l’obiettivo non è rimanere lì. Non è vivere in quel luogo tenebroso e asfissiante che tutti abbiamo dentro. L’obiettivo è tutto il contrario: è essere capaci di donare una goccia di calma, consolazione, attenzione, a tutto ciò che ne ha bisogno dentro di noi.
Io non so perché il dolore esiste, e non credo neppure che soffrire di più mi renda maggiormente consapevole o degno di valore. So solo che la sofferenza è presente, perché la sento dentro di me e la percepisco negli occhi delle persone che mi circondano. E sento anche la forza potente che ci spinge a nasconderla, a renderla silenziosa. Ma ho deciso che non voglio più costringere il dolore a tacere, perché ho compreso che quanto più lo nascondo, maggiore sarà il potere che esercita su di me.