Il dominio del sapere è una caratteristica dell’uomo moderno, spesso però isolato dalla possibilità di una vera comprensione del cuore, la quale si traduce in esperienza. Dare un nome alle cose può allontanarci dalla partecipazione mistica con la natura e con gli esseri umani.
Sulle rive di un fiume dalle sponde smeraldine scintillanti di sole, viveva un uomo solitario, così perennemente assorto e curvo sui libri, da essere considerato da molti un eremita. Mostrava un'età indefinita, in alcuni giorni sembrava un bambino pronto a bere la vita, in altri invece trascinava il peso degli anni. Abitava in una casa immersa nel verde, proprio al limitare del bosco e così vicina all’argine che in autunno il livello del fiume, dopo le piogge, saliva fino a lambirne l’ingresso. Questa casa aveva una particolarità: certe mattine – al risveglio – gli appariva come una torre, e poteva mantenere quell’aspetto per giorni. Altre volte, invece, diventava una capanna, e in certe albe un castello, poi una tenda, un tugurio e finanche una grotta. Accadde un giorno che, dopo aver letto l'ultimo libro della sua sconfinata biblioteca, quasi obbedendo a un richiamo, l’uomo uscì e si sedette affranto sull’argine. E fu come se le acque lo attirassero col loro canto, al che prese a dire: «Cosa mi resta da fare ora che conosco il nome di ogni cosa? Che ne farò della mia conoscenza?»; e allorché stava per immergersi e trovare consolazione nel loro abbraccio al fine di giacere definitivamente in esse, a un tratto ne ebbe orrore. Tanto bastò, se ne sottrasse. Con un amaro senso di sconfitta, riprese mestamente la strada di casa.