Da dove ci arriva il concetto di peccato e di punizione divina? Il castigo è davvero un’azione possibile di Dio nei nostri confronti, oppure è un’invenzione dell’uomo dovuta al bisogno di sentirsi giusto, amato e protetto in base ai propri comportamenti?
Il nostro modo di vedere la vita, la nostra personalità e i nostri codici più profondi si costruiscono attraverso le relazioni della prima infanzia e gli sguardi ricevuti e penetrati nel cuore. Questo segna l’impronta della relazione che da adulti avremo con noi stessi e con gli altri.
Il giudizio verso le persone che compiono atti violenza ci allontana dalla possibilità di vederne l’umanità e comprendere il dolore animico che conduce agli atti deprecabili. La distanza dal reietto fuori di noi segna anche la distanza dal dolore che è dentro di noi.
I ritmi della vita sociale sono velocizzati e stressanti: più siamo impegnati più ci sembra di essere vivi, ma è forse una fuga dalla nostra interiorità? L’arte della cura di noi, essenziale per lasciare emergere le nostre emozioni, ci può condurre all’unità e al Ricordo di sé.
In questo secondo articolo approfondiamo la figura di Jung non solo come grande terapeuta dell’anima, ma come maestro gnostico cristiano, come si evince da alcuni suoi scritti e dall’aver testimoniato, con la sua stessa vita, la propria trasformazione spirituale.
Questo articolo cerca di indagare, attraverso un racconto accessibile a tutti, i meccanismi della mente che si attivano nella relazione dell’uomo con Dio. Il lettore non deve interpretare questa analisi ipotetica come una critica, ma come una fonte di osservazione e di comprensione di come funziona la nostra interiorità quando si confronta con l’Assoluto.