Il giudizio verso le persone che compiono atti violenza ci allontana dalla possibilità di vederne l’umanità e comprendere il dolore animico che conduce agli atti deprecabili. La distanza dal reietto fuori di noi segna anche la distanza dal dolore che è dentro di noi.
Quella notte Irene fece un sogno che la turbò molto. Si trovava nella sua casa, che non riconosceva in realtà, perché era un ambiente lussuoso, ultramoderno e grande, tanto grande. Con lei c'erano molti suoi amici ritrovatisi lì per una festa. A un certo punto, dal piano di sopra si odono degli spari e tra gli ospiti di Irene scoppia il panico: gente che fugge in giardino, chi si nasconde sotto i tavoli, mentre un commando di terroristi sparge fuoco e morte tra gli invitati. Nel sogno, anche Irene fugge, per mettersi al riparo sotto una scala a chiocciola in acciaio e legno. Dalla scala vede scendere uno dei terroristi: è un uomo di colore, imbraccia una mitragliatrice e si accorge di lei sotto le scale. Le punta la mitragliatrice in faccia, è sporco di sangue e Irene piangendo gli urla: «Aspetta!». L'assassino si piega su di lei, il suo volto arriva a un millimetro da quello di Irene, la guarda fisso negli occhi e lei riesce solo a chiedergli: «Perché?».
La mattina dopo Irene si sveglia presto, l'attende un viaggio di un'ora per raggiungere la città dove deve assumere un nuovo incarico. Le hanno chiesto di riorganizzare le risorse umane del centro produttivo di un'impresa. Questa volta, però, dovrà recarsi in un posto nel quale non è mai stata: un carcere.
Ti è mai capitato di visitare un carcere o un altro luogo di sofferenza e isolamento?