Accogliamo nelle nostre pagine la voce di Maurizio Di Veroli che ci narra il suo progetto, poiché ne condividiamo il valore della transculturalità, della ricchezza dello scambio e dell’accoglienza di paradigmi e vie che ci richiamano alla fratellanza.
Si narra che prima della distruzione del Tempio di Gerusalemme (70 d.C.) la musica fosse parte integrante del rito ebraico, e che di questa tradizione – andata smarrita in segno di lutto appunto per il ricordo di quella sciagura – all’interno delle sinagoghe sia rimasta l’abitudine, durante ogni servizio, non di declamare semplicemente bensì di cantilenare i versi sacri della Torah, seguendo una precisa melodia. Perché quando il popolo ebraico dialoga con Dio, la sua lingua canta e il suo cuore vibra... L’aver colto, avvalorato e fatto proprio l’aspetto della sacralità della musica, non è ovviamente prerogativa solo dell’ebraismo, perché tante fedi, nel lontano passato come nel presente, l’hanno condivisa e la condividono, ma in quella di Abramo ha trovato particolare rifugio ed espressione. Per questo non stupisce che proprio in quest’alveo sia nato Progetto Davka, un’iniziativa artistica a cura del musicista romano Maurizio Di Veroli, che si pone - e si impone - tutta una serie di obiettivi con un unico scopo, la conoscenza: farsi conoscere dagli altri e conoscerli, conoscere sé stessi, la propria identità e le proprie tradizioni, nonché la propria storia, in più conoscere il mondo avviando un dialogo capace di andare oltre le parole, approfondendo ed esaltando il significato delle stesse attraverso appunto l’ausilio delle note. La nostra rivista ha voluto incontrare il fondatore di questo progetto per farsene raccontare la genesi.