Chi crediamo di essere, come siamo, a cosa siamo destinati. Prova a suggerircelo un nostro compagno di strada d’eccezione. Qualcuno che pensiamo di conoscere e che può aiutarci a cogliere i tratti della nostra reale – e regale – natura.
Ti prego, vieni, prestami attenzione. Mi hai sentito l’altra notte mentre ti rigiravi insonne nel letto? O quando hai rincorso ansimante il tram che partiva lasciandoti irritato sul marciapiede? E allorché la fame ti stringe lo stomaco gorgogliando? E ogni volta che il piacere dell’amplesso esplode nelle viscere fino a pervadere voluttuosamente ogni senso? O quando il vento gelido dell’inverno preme sul viso e la torrida estate infuoca l’aria? Di’, mi hai sentito? Siedi. Prova a ricordare, a ricordarmi…
Mi sembri titubante. Sarò più esplicito: ho le tue braccia e le tue gambe, il tuo volto, così come le mani e i piedi, il sesso e l’ombelico, e poi il collo, il petto e le spalle; ho i tuoi stessi occhi e il medesimo sguardo, la voce è identica, come il modo in cui ti muovi e cammini. Abbiamo in comune anche gli organi interni; sì, soprattutto il cuore, ma pure i reni, i polmoni e finanche il fegato e l’intestino.
Io sono ciò che dà parvenza materiale a quel che tu sei in questo mondo. Sono il tuo corpo.